Dentro un bicchiere di vino c’è un mondo di esperienze umane, dentro il nostro c’è quello di una famiglia che ha una storia millenaria e un forte legame col territorio.
Immaginate un palazzo di fine settecento, con un giardino “segreto” che profuma di agrumi, sotto il quale esiste un ipogeo scavato nella pietra, usato nel ‘500 come frantoio con sette presse e oggi trasformato in bottaia, dove si lasciano riposare i vini in piccole e grandi botti di rovere e si conservano le bottiglie delle varie annate.
La luce fioca crea un’atmosfera quasi mistica e se verrete a trovarci qualcuno della nostra famiglia, offrendovi un buon calice di vino, vi racconterà che per noi essere vignaioli e agricoltori significa patrimonio da tutelare, territorio da valorizzare, cultura da condividere.
Siamo una famiglia di origine normanna giunta nelle Puglie nell’XI secolo, i nostri cavalieri hanno contribuito, al seguito degli Altavilla, alla conquista e alla formazione del Regno di Sicilia.
Ruggero Guarini è il primo di cui si ha memoria. Sotto il conte Goffredo D’Altavilla nel 1065 difese brillantemente Lecce dall’attacco di Boemondo D’Altavilla, primo figlio di Roberto Il Guiscardo, costringendolo a levarne l’assedio, ma poi, cambiate le alleanze, partì con Boemondo per la prima Crociata in Terra Santa e fece ritorno vittorioso nel 1106.
Dopo Ruggero molti rappresentanti della nostra famiglia ebbero l’onore di coprire ruoli importanti nei regni Normanno, Svevo, Angioino, Aragonese e Borbonico . Ci furono numerosi feudatari, guerrieri, cavalieri, ammiragli, uomini di chiesa, di lettere, di legge, politici e poeti.
Si ricorda Accardo conte di Valesio, figlio di Roberto, proprietario di una vigna feudale già nel 1114 e tra le altre storie, quella di San Francesco d’Assisi che nel 1219, di ritorno dal suo pellegrinaggio a Gerusalemme, arrivò a Lecce e furono due fratelli Guarini a donare al Santo “poche abitazioni per lui e i suoi religiosi”, così come riportato dall’iscrizione ancora leggibile nel luogo, dove poi nacque la Chiesa intitolata a San Francesco della Scarpa.
Nel 1250 Pasquale, sotto Re Carlo I d’Angiò, fu Protontino di Brindisi e ammiraglio delle regie galere di quella città, un altro Pasquale, Barone di Caprarica San Cesario ecc., fù tutore di Maria d’Enghien, Contessa di Lecce e Regina di Napoli, mentre suo figlio Agostino, che sposò nel 1420 Andronica Paleologo, ebbe nel 1455 dal figlio di Maria d’Enghien Gian Antonio Orsini Principe di Taranto il feudo di Poggiardo.
E poi c’è la bella storia di Padre Ignazio Guarini, gesuita, che nel 1733 fu mandato dal Papa Clemente XI a Dresda per insegnare la religione cattolica alla corte di Federico Augusto II, Re di Polonia ed elettore di Sassonia: insegnò francese alla principessa Maria Giuseppa, che era destinata come sposa al delfino di Francia Luigi Ferdinando e fu la madre di Luigi XVI.
Ignazio insegnò anche l’italiano alla principessa Maria Amalia, che divenne regina di Napoli, moglie di Carlo III di Spagna e Re di Napoli. Si narra che durante la sua permanenza a Corte ricevette un giorno una fucilata a un braccio, probabilmente un attentato ordito dalla Regina madre accanita Luterana, che mal tollerava questa conversione disposta dal figlio. Anche grazie alle sue conoscenze in Vaticano fu introdotta nella corte polacca l’arte del mosaico una prerogativa segreta dell’Opera di San Pietro, un piccolo giallo. Per la sua familiarità con il Re suo nipote Federico Guarini, figlio del Duca di Poggiardo Ottaviano, fu nominato nel 1742 Capitano della Fanteria del reggimento del Conte di Bhrül. Ignazio morì a Dresda, appena prima della sua imminente nomina a Cardinale.
Nel corso dei secoli più di 100 famiglie si sono imparentate con la nostra, più di 50 Feudi abbiamo amministrato in Terra d’Otranto e tanti personaggi illustri sono stati ospiti della nostra famiglia, come Giuseppe Bonaparte nel 1807 e Gioacchino Murat, Re di Napoli, ospite nel 1813 nel Palazzo di Lecce, dove lasciò per ricordo la sua firma incisa su di una specchiera, firma che oggi è riprodotta sul nostro vino a lui dedicato il Murà.